Se i risultati scientifici finanziati con i soldi dei contribuenti sono “beni pubblici”, è utile o etico, spendere miliardi per cercare una particella elementare? Per visitare un satellite di Giove o cercare l’acqua su Marte? Per osservare una galassia ai confini dell’Universo? In altre parole, è utile finanziare la ricerca di base? E se sì, con quali risorse, e per fare quale ricerca?
Qualche anno fa, era il settembre del 2015, la NASA annunciò la scoperta di acqua salata sulla superficie di Marte. Sui social network la notizia venne accolta da raffiche di commenti indignati, del tipo: “assurdo spendere soldi per cercare l’acqua su Marte quando qui sulla Terra milioni di persone soffrono la sete! Con i soldi spesi per Marte si potevano costruire pozzi in Africa”. La rete amplifica esponenzialmente qualsiasi punto di vista, e specialmente quelli più estremi. Chiunque circoli un poco in rete capisce subito che oggi la scienza non gode certo di buona pubblicità sui social. Il che rende sicuramente meno banale e meno semplice la risposta alle domande di cui sopra. Le risposte che diamo di solito sono che da un lato la ricerca costa poco, molto meno di quanto si spende per armi (o per sigarette, come ricordava il presidente Kennedy in un famoso discorso del 1962 in cui annunciava il proposito di sbarcare sulla luna entro il decennio). Dall’altro che la ricerca porta anche ricchi contratti industriali per realizzare le infrastrutture scientifiche, contratti di cui beneficia in maniera molto diretta la società nel sui insieme. Questi argomenti sono certamente molto veri e molto giusti, ma sono anche insoddisfacenti. Perché sono difensivi. Non mettono la Scienza in primo piano e non entrano nel merito delle scelte. E quindi non ci dicono gran che’ su quale scienza è veramente utile e quale magari meno. Una discussione che invece voglia entrare nel merito deve chiedersi se i modelli oggi più affermati per fare scienza, e cioè da un lato la “big science”, grandi infrastrutture, grandi progetti grandi finanziamenti, e dall’altro la competizione come forza trainante siano quelli d’avvero più adatti a fare scienza utile.
Di più, noi scienziati da almeno 400 anni adottiamo più o meno lo stesso metodo per fare scienza, quello inventato da Galileo all’inizio del diciassettesimo secolo. Il metodo ha resistito nel tempo a innumerevoli cambiamenti, rivoluzioni, guerre e anche a ben tre rivoluzioni industriali. Siamo sicuri che questo metodo sia ancora valido e applicabile oggi durante la quarta rivoluzione industriale? Quella in cui tutto è connesso con il resto, non solo noi esseri umani ma anche tutte le cose che ci circondano, dove tutta la nostra ecosfera è permeata da una enorme rete informatica, e dove la rete informatica alla fine diventa essa stessa una ecosfera. Alla fine, scavando scavando, siamo in grado di convincerci e convincere che al tempo della grande ecosfera informatica è veramente utile fare scienza? O che serviremo noi scienziati e scienziate per fare scienza utile?
Prossima pubblicazione: 12 gennaio 2020. 1. Il dibattico classico: l’utilita’ della scienza inutile